Sistema sociale e legittimità delle emozioni
In questi giorni in cui si sommano sempre più appelli alla responsabilità personale nei confronti dell’epidemia di Coronavirus, in cui tutti ci scambiamo con colleghi, amici e parenti messaggi di speranza e simpatia, mi sorge spontanea una domanda: ma non c’è nessuno arrabbiato?
Lo chiedo come psicologa, non come opinionista.
La rabbia, una delle emozioni di base dell’uomo, considerata naturale a fronte di eventi frustranti; la rabbia che, così spieghiamo anche ai bambini, è normale provare ma che è importante incanalare costruttivamente, ad esempio attraverso l’esplicitazione verbale di questo sentimento. Davvero siamo tutti tranquilli, chiusi in casa, a riflettere in modo maturo su quanto è importante in questo momento smettere di lavorare, anche se questo comporterà per tutti un crac economico (personale, non globale!), non poter uscire nemmeno per fare due passi o poter stare vicino a persone che vivono sole ma a cui si vuole bene (… pensate quanto se ne parla ad agosto quando i giornali sono pieni di articoli sugli anziani abbandonati a loro stessi. Certo che qui la finalità è proprio la loro protezione ma molti di loro rischiano di cadere in una depressione da cui non riusciranno a riprendersi)? Davvero?
In realtà non è proprio così. La frustrazione e la rabbia stanno albergando nel cuore di molti ma la pressione sociale sta contenendo la sua espressione verbale: le persone sono arrabbiate, ma “non si può dire”. Non sarebbe percepito come un comportamento maturo! Questa pressione diventerà presto compressione e questo è pericoloso.
Permettetemi di fare la psicologa, solo per questa volta: consentiamo alla rabbia che proviamo di uscire da noi; autorizziamoci a dire che quello che sta accadendo ci fa stare male e che abbiamo paura di quello che ci riserva il futuro, senza vergognarci di manifestare le nostre difficoltà. Autorizziamo gli altri a farlo, senza giudicare. Questo non risolverà il problema dell’epidemia ma può evitare che ne sorgano altri.
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