Le paure del Manager: feedback e reazioni
Dare feedback negativi non è mai semplice. Nemmeno quando si è animati da finalità costruttive o quando si gestisce la situazione nel “modo giusto”, come viene insegnato nelle aule di formazione ai Manager o spiegato nei manuali di gestione delle risorse umane.
È innegabile. Sotto sotto, anche le persone che sembrano meno risentite, un pochino se la prendono: il feedback è il momento in cui qualcuno ci dice che non siamo stati capaci, che avremmo dovuto comportarci in un alto modo, che, è vero che miglioreremo, ma intanto… abbiamo sbagliato. Non importa come esprimeremo il malessere associato al senso di inadeguatezza che stiamo affrontando, ma è certo che un po’ ci rimarremo male.
È questo che preoccupa realmente i capi: lo sanno anche loro, perché ci sono passati e ci passano probabilmente ancora, che non è piacevole sentirsi giudicati se si è commesso un errore e che dare un feedback ad un collaboratore li esporrà quindi alle sue reazioni emotive e ai suoi sentimenti.
Quindi?
Meglio far finta di niente di fronte ad un problema?
Meglio una bella sfuriata, magari anche un po’ aggressiva, così il concetto, e anche il tempo di interazione, passa più velocemente?
Forse esiste una terza via. Prima di occuparsi del feedback, il capo potrebbe occuparsi di sé riconoscendo la propria ansia e accettandola e comprendendo la responsabilità che pesa sul proprio ruolo in termini di sviluppo dei collaboratori a lui/lei affidati.
Essere capi è un po’ come essere genitori: non sempre i figli vogliono bene ai genitori, i “no”, pensati perché possano crescere nel modo migliore, li innervosiscono. Preferirebbero indulgenza e “si” di fronte ad ogni richiesta. Ma poi, quando hanno bisogno davvero di qualcuno di cui fidarsi, vanno da chi ha avuto il coraggio di dimostrarsi forte, stabile, affidabile, coerente.
Una volta raggiunta questa consapevolezza, è molto più facile gestire feedback “da manuale”.
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