Talent management, anzi, normal management
Cos’è un talento per le aziende? Secondo un’indagine del 2014 (Investire sui talenti per crescere e innovare, condotta da MIP – School of Management del Politecnico di Milano per conto di GE Capital) emerge come per alcune aziende il talento sia una “persona con alto potenziale e un’intelligenza sopra la media” mentre per altre il concetto sia più legato al possesso di spiccate competenze tecniche.
Anche le definizioni date dagli esperti mostrano una certa eterogeneità: chi resta più generico identificandolo con un giovane che dimostra di avere una “marcia in più”, chi lo considera una “promessa”, chi si focalizza maggiormente su capacità intellettive e gestione dell’ansia e chi aggiunge la disponibilità a non tener conto di orari e vincoli di tempo.
Nonostante le diverse accezioni del termine, ciò che accomuna queste definizioni è la speranza che questo giovane possa incidere in modo positivo sull’azienda e sui suoi risultati. Questa consapevolezza aiuta il talento a sentirsi più responsabile, più propenso ad entrare in sintonia con obiettivi e strategie aziendali, in poche parole a lavorare meglio e in modo più proattivo. Si viene cioè ad innescare un meccanismo che gli psicologi chiamano “profezia che si auto-avvera”, un circolo positivo (di cui, purtroppo, in altre situazioni esiste anche la manifestazione in senso negativo) in cui l’azienda dimostra al suo giovane talento stima, lui/lei sentendosi valutato/a favorevolmente inizia a considerarsi bravo/a e, quindi, dimostra maggiore coraggio nell’esporsi anche di fronte a situazioni complesse o incerte, evidenziando così una volta di più all’azienda la validità di questa scelta.
Il Talent Management si sta dimostrando quindi una buona leva di gestione e di motivazione per una parte della popolazione. In realtà, una piccolissima parte della popolazione complessiva aziendale. Prendendo i dati dalla ricerca già citata sopra il 47% delle imprese intervistate ritiene di avere all’interno dall’1% al 4% di talenti; solo il 4% delle aziende ritiene di averne 15% o più.
E gli altri?
Quelli “normali”? Il 90% restante della popolazione?
In modo un po’ cinico, possiamo ipotizzare una distribuzione gaussiana dei dipendenti in termini di performance, quindi se consideriamo il 10% di talenti possiamo calcolare un altro 10% di persone che hanno strutturalmente una performance bassa.
Pensate la ricchezza: 80% di persone che potrebbero offrire molto di più all’azienda se solo si riuscisse a veicolare un forte senso di responsabilità, voglia di continuare ad imparare e, soprattutto, un’alleanza con l’azienda e i suoi obiettivi.
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