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Personal Improvement vs Change Management

29 Maggio 2019 by Amministrazione Cambiamento 0 comments

Di cambiamento, e soprattutto di cambiamento organizzativo, si parla da decenni e tutti coloro che ci hanno lavorato convergono su un aspetto: il cambiamento è un momento delicatissimo, che produce negli individui stati di preoccupazione per l’incertezza che pone e che quindi risente naturalmente di meccanismi di difesa attivati dalle persone.

Kurt Lewin, già nel 1951 aveva analizzato i meccanismi che governano i cambiamenti dandone prevalentemente una lettura sull’individuo. Secondo Lewin il cambiamento è un processo a tre stadi:

  • Unfreezing (scongelamento) quella che oggi potremmo chiamare crisi in quanto è la fase di superamento dell’inerzia portato da una situazione di insoddisfazione. È proprio lo stato di percezione di un “malessere” che aiuta a superare i principali meccanismi di difesa.
  • Change è la fase in cui si attua/manifesta il cambiamento. È tipicamente contraddistinta da uno stato di confusione e di provvisorietà legata alla transizione. Si è consapevoli che il quadro precedente è stato messo in discussione ma non si ha ancora una chiara percezione di come sostituirlo.
  • Refreezing (ricongelamento) è il consolidamento del nuovo quadro e delle nuove abitudini e la loro cristallizzazione, riportando gli individui ad un livello di confidenza con i processi analogo a quello prima del cambiamento.

Più di recente, Richard Beckhard e David Gleicher svilupparono una Formula per il Cambiamento (meglio conosciuta come Formula di Gleicher):

D x V x F > R

D = Dissatisfaction – esprime la insoddisfazione per la situazione attuale

V = Vision – indica la progettualità, la capacità di definire la situazione futura

F = First steps – quantifica i primi passi concreti fatti verso la direzione che è stata definita e annunciata

R = Resistance – misura la resistenza incontrata dal Cambiamento

La formula creata da Beckhard e Gleicher esprime il concetto fondamentale che il cambiamento è realizzabile soltanto se il prodotto delle forze che producono il cambiamento è superiore alla resistenza che vi si oppone. Da un altro punto di vista riesce a cambiare soltanto chi è sufficientemente consapevole delle energie necessarie a farlo ed è disposto a sostenere il proprio cambiamento con una forte volontà (o un forte mandato), piuttosto chi è costretto a farlo travolto dalle proprie difficoltà.

Qualunque modello si voglia prendere in considerazione, in ogni caso, ci porta a comprendere che le organizzazioni attivano processi di cambiamento rispondendo a situazioni di “crisi” che toccano l’azienda ma che, in realtà, non hanno nulla a che vedere con la percezione di crisi da parte del singolo individuo. Ci si trova quindi in una situazione di “sfasamento temporale”: l’organizzazione ha necessità di cambiare in un momento nel quale l’individuo magari sta bene nel ruolo, nella posizione e nelle condizioni che sta vivendo. La maggior parte degli interventi di Change Management in questi anni hanno così lavorato per costruire dispositivi che attivassero nei lavoratori specifiche percezioni di “emergenza” in modo tale da portare anche loro alla prima fase del processo di cambiamento, Unfreezing.

La continua necessità di modificarsi delle aziende ha però portato ad accorciare, se non praticamente ad annullare, i momenti di Refreezing. Gli individui si trovano così a non avere più a disposizione una fase fondamentale, quella del consolidamento. Fondamentale perché è quella in cui la persona, quando si ritrova solida dal punto di vista delle nuove competenze che ha dovuto acquisire e più strutturata dal punto di vista personale, può iniziare ad offrire un reale contributo all’organizzazione. L’eccessivo accorciamento dei tempi di Refreezing costringe quindi gli individui a rimanere puri esecutori in quanto si trovano all’interno di processi e logiche che non hanno avuto l’opportunità di comprendere fino in fondo. La reiterazione di fasi di cambiamento così ravvicinate porta quindi molti individui a disinvestire sull’azienda e ad investire energie ed interessi su elementi esterni all’attività lavorativa. (È difficile aver voglia di investire in un lavoro/attività che non sai per quanto durerà sapendo inoltre di non avere la possibilità di direzionare in alcun modo i cambiamenti che impatteranno sulla tua vita professionale).

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